Antonino “Ninni” Cassarà

Racconta il giornalista Attilio Bolzoni che Antonino “Ninni” Cassarà, capo della “Investigativa”, e Franco Accordino, capo della “Omicidi”, nei primi anni ‘80, scherzavano sempre, guardando ogni mattina la lapide in marmo nel cortile della Questura di Palermo. “Sotto tutti questi nomi ci starebbe bene anche il tuo…”, si dicevano a vicenda, scoppiando in fragorose risate. Era il loro rito scaramantico, prima del caffè, per esorcizzare l’idea della morte che aleggiava pesantemente sugli investigatori di Palermo impegnati in prima linea nella lotta alla mafia.

Cassarà era arrivato a Palermo dopo avere prestato servizio prima a Reggio Calabria e poi a Trapani, dove ebbe modo di conoscere il giudice Giovanni Falcone. A Trapani fece parlare di se perché ebbe il coraggio di ordinare un blitz in uno dei salotti “bene” della città, che dava copertura ad una pericolosa loggia massonica deviata.

Trasferito a Palermo, divenne uno dei principali collaboratori di Falcone e del pool antimafia, occupandosi dell’operazione Pizza Connection sul narco-riciclaggio tra la Sicilia e gli Stati Uniti.

Negli anni tra il 1982 e il 1986 Cassarà  “era… lo sbirro più sbirro di Palermo”, dice Bolzoni. “Sapeva tutto di ciò che stava avvenendo tra i giardini di Ciaculli e le sontuose ville settecentesche della Piana dei Colli, i quartieri generali dei Greco e dei Madonia, i grandi traditori della mafia palermitana, quelli che si erano messi dalla parte dei Corleonesi” di Totò Riina e Bernardo Provenzano. L’abile investigatore incontrava già un informatore (si sarebbe poi scoperto che era Totuccio Contorno, che si sarebbe “pentito” dopo Buscetta) che gli raccontava tutto “dal di dentro”, e già sapeva chi fossero i mafiosi dell’ala “vincente” e quelli dell’ala “perdente”.

Insieme al poliziotto Calogero “Lillo” Zucchetto, Cassarà si addentrava nella borgata di Ciaculli a caccia di latitanti. “Qualcuno se n’era accorto. O qualcun altro li aveva traditi”, scrive Bolzoni. Fatto sta che l’abile segugio Zucchetto venne ucciso il 14 novembre 1982, una domenica sera, dopo l’ultimo panino e l’ultima birra, davanti a un bar di via Notarbartolo.

Cassarà in quegli anni conduceva una lotta alla mafia, che non tutto lo Stato, non tutta la polizia, conducevano. A combattere accanto a Cassarà c’era senz’altro Beppe Montana, capo della “Catturandi” (“la sezione che doveva cercare i latitanti che a quel tempo non cercava nessuno”, spiega Bolzoni), anch’egli ucciso a 34 anni il 28 luglio 1985 al molo di Porticello, frazione di Santa Flavia.

Ormai la squadra mobile di Palermo era sotto il fuoco incrociato dei “corleonesi” perché Ninni Cassarà indagava dove non aveva mai indagato nessuno. Su padrini intoccabili come Michele Greco “il papa“ di Cosa nostra, che allora era “un signorotto di campagna che aveva il passaporto e il porto d’armi e nella sua tenuta della Favarella, a Ciaculli, ospitava eccellentissime toghe e vescovi, colonnelli dei carabinieri e commissari di polizia”. “Aveva scoperto tutto Ninni Cassarà. E insieme al capitano dei carabinieri Angiolo Pellegrini - racconta ancora Bolzoni - aveva presentato un rapporto al giudice istruttore Giovanni Falcone intitolato “Michele Greco + 161”, la mappa della nuova mafia palermitana, l’indagine che sarebbe poi sfociata nel maxi-processo”.

Era sempre accanto a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, testimoniò contro i potenti cugini Salvo, esattori di Salemi, finanziatori della Dc di Salvo Lima, era il motore del pool antimafia.

Il 6 agosto 1985, dopo tre settimane che non tornava a casa nemmeno per mangiare, uscì dalla questura. Ma una “talpa” avvertì i sicari della mafia (l’hanno testimoniato diversi “pentiti”), che l’aspettarono davanti al civico 81 di via Croce Rossa, dove abitava. Venne falciato da una raffica di proiettili esplosi da un gruppo di fuoco composto da nove uomini, appostati nelle finestre dell'edificio di fronte. Era guidato da Antonino Madonia, Giuseppe Greco e Giuseppe Giacomo Gambino. Il vice-questore morirà sulle scale, tra le braccia della moglie, Laura Iacovoni, accorsa dopo aver assistito all’agguato dalla finestra. Con lui morirà anche il giovane agente Roberto Antiochia. Mentre riuscirà a salvarsi il poliziotto Natale Mondo, che sarebbe stato ucciso tre anni più tardi, nel 1988.

Il giovane poliziotto, Roberto Antiochia, quel giorno non doveva essere a Palermo. Da poco era stato trasferito a Roma e in quei giorni doveva essere in ferie. Ma volle prestare servizio volontario per aiutare i colleghi della Squadra Mobile nelle indagini per l’omicidio di Montana, e per scortare quello che continuava a considerare il suo “capo”.

Nel 1995, per gli omicidi Cassarà e Antiochia, sono stati condannati all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Palermo i boss Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Bernardo Brusca e Francesco Madonia.

In quei giorni convulsi, alla Questura di Palermo, sparì l’agenda dove il Vice Questore Cassarà annotava le sue indagini su Cosa nostra.

Dopo l’assassinio del figlio, la mamma di Roberto, Saveria Antiochia, si è impegnata anima e corpo come testimone di legalità, col Circolo “Società civile” e collaborando con Libera.

Sono state tante le onorificenze concesse a Ninni Cassarà, tra cui la medaglia d’oro al valor civile, con questa motivazione:

“Con la piena consapevolezza dei pericoli cui si esponeva, nella lotta contro la feroce organizzazione mafiosa, ispirava, conduceva e sviluppava in prima persona e con eccezionale capacità investigativa una serie di delicate operazioni di polizia giudiziaria che portavano all'identificazione e all'arresto di numerosi fuorilegge. In un proditorio agguato teso davanti alla propria abitazione, veniva colpito da assassini armati di fucili mitragliatori, trovando tragica morte. Alto esempio di attaccamento al dovere spinto fino all'estremo sacrificio della vita”.

A Ninni Cassarà negli anni sono stati dedicati tanti luoghi di memoria. In particolare, la “Stanza della memoria” tra le mura della sua Squadra Mobile. Come ha ricordato la sorella Rosalba: ”E’ sicuramente un seme che è stato gettato, che fiorirà e darà un mondo migliore, quello in cui tutti noi speriamo. Perché è dal sangue degli innocenti che nasce la speranza degli uomini giusti”.